Viene segnalata la presenza della particolare costruzione mostrata nelle foto di Figure 1 e 2; essa si trova ai margini orientali del Bosco della Gravinella e a ovest della località Serra Morsara, 4,3 km a sud di Santeramo in Colle, in provincia di Bari. La costruzione ha le coordinate 40°45’17,40”N 16°45’58,00”E ed è al centro di un’area di quasi 0,5 ha, allungata per 100 m in senso NO-SE e larga al massimo 50 m. L’area confina a sud-est con la strada rurale di Via Iazzitiello, da cui è separata da un muro a secco (Figure 3, 4 e 5).

Da un varco nel muro si accede per un breve sentiero in leggera salita a un modesto ripiano occupato dalla costruzione,a cui si accede dopo avere superato due rocce lavorate alte m 110 e 130, che possono essere considerate due menhir (Figura 6). Alcune pietre allineate tra i due menhir indicano che quella è la soglia di entrata dell’area sacra del tempietto (Figura 7). Nella stessa figura si può notare l’imbocco e la copertura di una cisterna a pianta squadrata.

Il primo degli autori di questo breve articolo, alla ricerca di reperti archeologici che qualifichino il territorio del Comune di Santeramo, ha riconosciuto l’antichità del manufatto e ne ha segnalato la presenza al Ministero dei Beni e Attività culturali e del Turismo, che in data 8 febbraio 2017 ha fatto sapere che si tratta di una “testimonianza dell’architettura rurale locale, di difficile datazione, ma non priva di un qualche rilievo”, mentre in data 1 agosto 2017 ha precisato che “il piccolo manufatto in muratura … è privo di qualsivoglia interesse archeologico”. Non soddisfatto di questa risposta, ha interpellato per un parere il secondo autore, che ha notato proporzioni non casuali nella parete di facciata.

Alcune misure effettuate hanno convalidato quella osservazione (v. Figura 8). Infatti le larghezze del vano di entrata, della parete alla sua destra e della parete alla sua sinistra sono risultate stare nei rapporti di 1:2:4 e più specificatamente le lunghezze dei due tratti della parete sono nel rapporto di 1:2,00. Questo primo esito delle misurazioni ha fatto dubitare che si tratti di un semplice edificio rurale.

Vi è poi una doppia coincidenza nelle misure effettuate che permette di avere un più preciso orientamento: il valore di 1,54 cm della parete a destra dell’entrata è praticamente coincidente con lo spessore del muro periferico ai lati del varco di accesso all’area che stiamo esaminando e che è di 153-154 cm. Tale valore è 100 volte l’unità di misura trovata in tutti i muri megalitici di tipo poligonale studiati in Italia, Grecia, Turchia, Giappone, Perù e Bolivia; tale unità, chiamata unità pelasgica o dito pelasgico, è risultata di 1,534 cm (Mortari, 2012). Anche se le pietre originali del muro sono solo quelle, di maggiori dimensioni, che si trovano a contatto col terreno, appare che il muro è stato restaurato in tempi recenti mantenendo però lo spessore iniziale e tale spessore è costante perché i suoi paramenti sono stati elevati curando la loro verticalità.

Mortari (2015) ha dimostrato che i muri megalitici hanno radici profonde nel tempo ed è arrivato alla convinzione che essi, pur in una ampia varietà, si siano mantenuti tutti in un grande phylum evolutivo. Questa ipotesi ci permette di fare confronti e valutare con una sufficiente approssimazione le collocazioni nel tempo dei vari tipi.

Le osservazioni finora compiute su questo tipo di muri danno senso alle grandi affinità che esistono tra la costruzione di Santeramo e un tempietto presente sulla acropoli di Cefalù (Figure 9, 10 e 11), il quale mostra, come carattere comune ma più precisato, l’apertura asimmetrica. A Cefalù tale apertura immette in un corridoio dal quale si accede a una stanza riparata, che possiamo immaginare fosse il nucleo della costruzione. Qui si dovevano svolgere culti sacri, e molto probabilmente vi era presente qualche statua da venerare e a cui fare offerte.

Vengono ora descritte le caratteristiche che col tempo hanno assunto le pietre sovrapposte a formare muri perlopiù megalitici con varie destinazioni, dalla difesa di luoghi abitati al terrazzamento del terreno, alla elevazione di opere architettoniche. Poiché in molti casi le pietre impiegate erano di dimensioni veramente notevoli, Pausania pensava che le mura in questione fossero state erette dai mitici Ciclopi, e in seguito perciò sono state spesso citate come “mura ciclopiche”. La classificazione che si è fatta, e che con il tempietto di Santeramo si arricchisce di un componente, suddivide i muri megalitici in 10 classi o tipi. Per le immagini relative a molti dei luoghi citati si rimanda ai lavori postati da Mortari sul sito www.terradegliuomini.com. È importante precisare che tutti i tipi di muri che verranno descritti hanno in comune la caratteristica di essere stati eretti a secco, ovvero senza l’uso di qualsiasi tipo di legante.

Il primo tipo comprende muri composti con pietre grezze sovrapposte in modo da lasciare minimi spazi aperti. Si trovano esempi ad Amelia e all’Isola di Milo.

Lo stile del secondo tipo, o “delle pietre selezionate”, comportava la scelta di pietre che già per loro natura avessero una faccia il più possibile piana, da esporre nel paramento a vista del muro, e ruotate in modo tale da venire a contatto il più possibile con le pietre adiacenti già messe in opera e lasciando minimi spazi vuoti; questi venivano poi riempiti con pietre più piccole. Un muro rappresentativo di questo tipo era esposto davanti al Partenone di Atene, un altro, con tutte le sue precise inzeppature, si trova a Ben in-Nadur, a Malta. Altri sono a Norba, Micene, Tirinto, a Ollantaytambo in Perù e a Kamakura, in Giappone.

Nel terzo tipo, che possiamo chiamare “delle pietre sgrezzate”, queste venivano ancora selezionate per esporne una faccia naturale piana all’esterno del muro e in più si ricorreva ad un ritocco importante del contorno dei blocchi in modo che si adattassero il più possibile a quelli già messi in opera; venivano così lasciati spazi vuoti ridotti, evitando di dover inzepparvi in gran numero elementi più piccoli. Il ritocco veniva eseguito a percussione, e i soli strumenti abbastanza resistenti per effettuare tale genere di intensa lavorazione anche su pietre molto dure come quelle magmatiche (granito, andesite, trachite, basalto) potevano essere solo di bronzo. Muri di questo tipo si incontrano a Machu Picchu in Perù, Ferentino, Cori. La innovazione consentiva di ridurre gli spazi tra le varie pietre e quindi la frequenza delle inzeppature.

Una ulteriore riduzione degli spazi vuoti si ha con il quarto tipo, e ciò fa pensare a un affinamento della tecnica costruttiva. Tale affinamento si può rilevare a Santeramo e consiste nell’uso di misurazioni basate su una precisa unità di misura, l’unità pelasgica di 1,536 cm, come è stato verificato in opere più elaborate. Si può osservare che durante l’uso di questo tipo sono stati seguiti due distinti percorsi: uno ha portato alla formazione di pietre con molti angoli (in prevalenza più di quattro), che consente di avere minori scarti di lavorazione in cava ma richiede più attenzione nella scelta dei blocchi; l’altro ha portato a formare pietre tendenzialmente squadrate, e questo offre il vantaggio di sagomare e mettere in opera i singoli elementi con una relativa semplicità.Si distinguono così i due sottotipi 4A e 4B, che vengono prodotti contemporaneamente. Entrambi si possono riconoscere a Machu Picchu e a Santeramo (qui rispettivamente nel muro di cinta e nel tempietto). Il sottotipo 4A si trova in abbondanza a Paleopoli di Samotracia.

Al quinto tipo possiamo riferire i primi muri in “opera poligonale” in senso stretto, nei quali si ha ancora una lavorazione a percussione ma molto più raffinata. Il carattere più evidente è il modo in cui è lavorata la faccia a vista, ben spianata e con bordi rettilinei a formare un poligono irregolare. Ciò deriva dal fatto che anche le facce ortogonali al paramento esterno del muro venivano rese piane (così che esse combaciassero perfettamente con le facce dei blocchi adiacenti) e assolutamente nessuno spazio rimanesse libero tra un blocco e l’altro.

Questo progresso può essere attribuito ad una accurata misurazione oltre che della lunghezza dei lati anche delle aperture degli angoli formati tra due lati consecutivi.Nell’ambito di questo quinto tipo possiamo distinguere, come è stato fatto per il quarto, due sottotipi, che chiameremo 5A e 5B, caratterizzati dalla assenza o presenza di allineamenti di due o più lati secondo una direzione prossima alla orizzontalità. Il sottotipo 5A è ben rappresentato ad Amelia, Alba Fucens, Pietrabbondante, Ermioni nel Peloponneso, ad Atene ai piedi dell’acropoli sul lato meridionale (si tratta di un muro non difensivo ma di contenimento, che corre lungo il peripatos tra l’odeon di Erode attico e il teatro di Dioniso delimitando un terrazzo su cui è stata costruita la stoà di Eumene).Il sottotipo 5B si trova ad Alatri, Cosa, Pyrgi.

L’adozione di questo tipo ha comportato una scelta nel contorno delle pietre: o squadrato o poligonale; tale scelta è derivata quasi sicuramente dalla osservazione che i contorni poligonali consentivano di avere una maggiore stabilità dei manufatti in aree ad elevata sismicità come il Perù. Ma i frequenti allineamenti quasi orizzontali suggeriscono che in aree ritenute a sismicità ridotta venisse adottata la soluzione dotata di maggiore facilità di messa in opera.

A un sesto tipo appartengono muri ancora in opera poligonale, ma i poligoni sono disposti su filari orizzontali. Alcuni esempi sono a Cori, Ollantaytambo e Cusco in Perù, Tokyo.

Nel settimo tipo i poligoni sono tutti quadrangoli che tendono al rettangolo; non viene curata molto la ortogonalità dei lati e la orizzontalità dei filari. Ci sono spesso dentellature. Se il terreno di appoggio è inclinato, i primi filari (e forse anche gli altri) seguono l’andamento naturale. E in genere i filari non sono accuratamente paralleli, come accade ad esempio nel dromos del cosiddetto Tesoro di Atreo a Micene e nel corridoio che è anteposto alla porta dei leoni di Micene.

Nell’ottavo tipo la lavorazione delle pietre avviene ancora con scalpello ma si cura l’orizzontalità dei filari. Le forme dei poligoni sono quadrangoli che si avvicinano abbastanza al rettangolo ma spesso anche al trapezio, dato che in un buon numero i giunti tra le pietre di uno stesso filare sono marcatamente obliqui; viene curata una disposizione orizzontale dei filari. Troviamo l’ottavo tipo a Dodoni in Epiro, Ramnous e Eleftere in Attica.

Nel nono tipo si ha un notevole miglioramento nella lavorazione delle pietre, poiché si abbandona la sagomatura a percussione e si adotta il taglio. Nelle pietre più dure si usa la sega, mentre in qualche caso di rocce più tenere è stato praticato il taglio con un filo metallico, probabilmente dotato di leggeri, sporadici ingrossamenti.

Nelle pietre più dure gli spigoli sono meglio definiti rispetto al tipo precedente poiché nel taglio la pietra è soggetta a vibrazioni meno violente. Esempi a Gela, a Micene all’interno della tholos di Atreo. L’altezza dei filari non è esattamente costante, e ce ne accorgiamo specialmente quando vediamo che la linea superiore o inferiore di un filare non è rettilinea come a Cuzco, così che le forme dei poligoni sono a rigore generalmente dei quadrangoli irregolari che tendono a essere rettangoli o, in misura minore, trapezi.

Senza un passaggio graduale si arriva al decimo tipo, che presenta grande regolarità nell’altezza di ogni pietra. Se nel 9° tipo ci può essere fino a 1 cm di differenza di altezza di una pietra tra le sue due parti estreme, col 10° tipo la differenza è più piccola di un ordine di grandezza. Questo salto improvviso può essere spiegato con l’introduzione di qualche macchina che permetteva di avere tagli molto regolari e facce ortogonali. Esempi di questo tipo sono a Velia in Campania e a Kitanaura in Turchia.

Per una collocazione nel tempo dei vari tipi si può contare sulla possibilità di datare alcuni momenti di questa evoluzione. Il più recente di questi momenti è la costruzione del muro di cinta del quinto tipo (5B) che si trova a Santa Severa (Pyrgi). La costruzione è stata interrotta a causa di un improvviso innalzamento del livello marino, che può essere datato a circa 5050 anni fa (Mortari, 2010, 2012). Un altro momento riguarda la costruzione del muro poligonale del quinto tipo (5A) di Orbetello, avvenuta quando il livello del mare si trovava 4 m sotto quello attuale, circa 7500 anni fa (Mortari, 2010).

Un terzo momento interessa la sagomatura artificiale dell’isola sommersa di Yonaguni, Giappone, avvenuta quando il livello marino era 29 m più in basso di oggi ovvero 12.500 anni fa. Poiché tra le rocce lavorate vi sono delle arenarie molto resistenti, abbiamo una prova che il bronzo era già stato inventato, e possiamo supporre che la data di questa invenzione risalisse a qualche tempo addietro. Si può stimare che tale momento sia stato 13.000 anni fa.

Un’altra data importante è quella della nascita dell’agricoltura, che possiamo fare risalire a 18.000 anni fa (Mortari, 2015). I muri del primo tipo molto probabilmente sono stati eretti da allora per proteggere i raccolti da possibili attacchi di popolazioni di raccoglitori.

Figura 12

Pertanto si propone che le date di inizio dei vari tipi di muri possano essere quelle rappresentate nella Tabella 1. Si può osservare che dalla classe settima in poi le date sono molto ravvicinate, il che è un segno di una evoluzione divenuta molto più rapida. Tutte le date sono approssimative e sono soggette a venire precisate man mano che si avranno ulteriori elementi di giudizio. La lunga durata del quinto tipo è giustificata dal gran numero di muri esistenti di questo tipo.

Mentre possiamo attribuire la parte inferiore del tempietto di Cefalù al sesto tipo e quindi a circa 5000 anni fa, il tempietto di Santeramo appartiene al quarto tipo, per cui la sua età viene ad essere di circa 10-11 mila anni.

Bibliografia

Mortari R. 2010. I ritmi segreti dell’Universo. Aracne Ed., Roma, pp. 336.

Mortari R. 2012. Confronto tra mura poligonali d’Italia e Grecia. www.terradegliuomini.com.

Mortari R. 2013. Civiltà megalitiche del Mediterraneo e del Sudamerica. Un confronto. www.terradegliuomini.com.

Mortari R. 2014. Le mura megalitiche di Tokyo, Nikko e Kamakura. www.terradegliuomini.com.

Mortari R. 2015. La civiltà pelasgica e sua espansione dal Vicino Oriente all’Arcipelago Giapponese. Geografia, v. 38, n. 1-2, p. 26-43.